Il Cloud Computing

Agostino Sibillo, classe 1972, nato in Puglia a Manfredonia da genitori casertani, si laurea dapprima in giurisprudenza e fa l’avvocato, poi negli Stati Uniti si laurea in ingegneria informatica e registra il primo brevetto del Cloud (ne seguiranno altri 18 che riguardano streaming, software per droni, diagnostica medica, ecc.).

“Gli hard disk si dividono in due categorie: quelli già rotti e quelli che stanno per rompersi” (cit. prof. Smaldino V. A.)

La non totale affidabilità delle memorie di massa è ciò che ha (so)spinto una buona parte di persone a cercare “luoghi più sicuri” ove poter conservare quella mole di dati che, nell’era odierna, costituisce la nostra “memoria” storica, il nostro lavoro, il nostro essere digitale.
Quando in passato ho cercato di spiegare cosa fosse il Cloud, e perché io personalmente abbia deciso di utilizzarlo, è stato difficile vincere le posizioni preconcette di coloro i quali riducono il cloud ad “internet” e adducono a giustificazione della loro reticenza la questione sicurezza. Comprendo il loro essere spaesati perché il Cloud, la “nuvola”, potrebbe far pensare a qualcosa di così “inconsistente” e “volatile” da non avere assolutamente alcun appeal per chi ipotizzi di sceglierlo come tecnologia a cui affidarsi.
Domando allora: è sicuro ed affidabile conservare i dati più importanti sul nostro personal computer? Archiviare la contabilità su una pendrive, preserva da perdite di dati?
Voler internalizzare, tenere tutto “in pancia”, avere tutto sotto mano perché così “io posso controllarlo” è una delle scelte più scellerate quando i dati, o meglio le informazioni, sono il tuo pane quotidiano, ciò su cui il tuo business si fonda.

Nella mia storia di tecnico informatico, ho più volte incrociato le strade di privati, professionisti, imprenditori, insomma gente d’ogni tipo che chiedeva disperatamente di poter “riavere indietro i propri dati da un hard disk che si rifiutava di partire” o da “una pennetta che fino a ieri ha funzionato” o, ancora, tutta la posta inviata ma sincronizzata in locale con Outlook mediante la sempiterna configurazione in pop3. Ahimè il dono di poter fare miracoli è cosa che certamente non attiene al sottoscritto…
Solo dopo che si è provato quel senso di smarrimento nell’aver perso tutto, si prende coscienza del fatto che solo il cloud salva: salva dal danneggiamento delle apparecchiature, dal ransomware che tiene in ostaggio i nostri dati mutando in arma di offesa quella cosa così bella chiamata “criptazione dei dati”, che siamo abituati ad intendere nella declinazione della sicurezza.

Il Cloud salva da noi stessi, dall’utente sbadato e disattento.
Poiché anche io sono distratto, scrivo sfruttando una delle tante possibilità del cloud computing: uso un SaaS (Software as a Service) gratuito chiamato “Documenti Google”, così posso riprendere queste righe in qualsiasi momento da qualsiasi luogo, usando qualsiasi dispositivo e l’unica cosa di cui necessito è una connessione internet. E poi ritrovo tutto lì, nel Cloud, e non c’è hard disk che non si avvii, chiavetta che non venga letta, computer che non parta. Ho la certezza che tutto funziona e continuerà a farlo perchè questi miei dati non sono “tra le nuvole”; questa manciata di byte sono qualcosa di fisico, esistono e sono al sicuro su hard disk all’interno di server affidabili, in data center ben raffrescati grandi quanto un campo di calcio, gestiti da signori col camice bianco che si preoccupano che tutto funzioni alla perfezione.

E casomai la memoria di massa dove sono scritti quei dati dovesse smettere di funzionare, non sarebbe un problema dell’end-user: il tizio in camice bianco sostituirà l’unità danneggiata o giunta a fine vita, con un’altra e su questa, grazie alla tecnologia raid (Redundant Array of Indipendent Disks), tutti i dati saranno copiati dalle unità ancora in funzione. I dati archiviati in un sistema cloud vengono scritti su più unità contemporaneamente sfruttando il “mirroring” (noto anche come RAID 1), che offre sia un elevato livello di protezione che una migliore integrità degli stessi, consentendone un più rapido recupero.

Voler replicare in locale tutta l’infrastruttura che c’è dietro il cloud, presuppone un grande dispendio di risorse in termini economici per l’acquisto di hardware, e di forza lavoro per l’assunzione di personale qualificato che configuri quell’hardware e lo metta online, volendo al momento sorvolare sulle necessarie misure da adottare per evitare attacchi hacker difficili da gestire.
Per far svanire in uno schiocco di dita tutto questo, basta affidarsi ad un Cloud Provider, ossia colui che si occupa della gestione dell’infrastruttura hardware e della manutenzione software nonché della sicurezza e della protezione dei nostri dati.
Il Cloud Provider, deve osservare codici guida e regole comportamentali che garantiscano che i dati conservati nel Cloud Computing siano sicuri e protetti (ISO 27017); essi devono altresì attenersi ad un codice di condotta che protegga le Personally Identifiable Information nei servizi di public Cloud (ISO 27018), ma soprattutto che debbano seguire un percorso di qualificazione al fine di fornire infrastrutture e servizi Cloud alla P.A. quanto più omogenee e dagli elevati standard.

All’end user è demandata l’unica preoccupazione di scegliere il servizio che più si adatta alle sue esigenze, a scelta tra IaaS, PaaS e SaaS, pagare il canone mensile o annuale, ed essere produttivo. Come già accennato, proprio la modalità “Software as a Service” è la declinazione più completa e articolata del cloud computing che fornisce sia l’infrastruttura hardware che i componenti software per la creazione di applicativi web e la loro “messa in produzione” tramite Internet.
Entrato nel mondo del Cloud Computing, l’utente può dimenticare le problematiche relative a installazioni di software, aggiornamenti di sicurezza, bug, patch, malfunzionamenti, cancellazioni involontarie, intromissioni di malware, incompatibilità di sistemi operativi: tutto svanito!

L’unica domanda è se io, utente cloud, in nome della sicurezza, della disponibilità dei dati, della scalabilità dei servizi e quant’altro descritto in precedenza, sia disposto ad accettare che il Cloud Provider divenga stabilmente il mio “socio in affari”, per il resto della mia vita digitale.

Pasquale Laddaga

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